mercoledì 30 marzo 2011

Monte Pascolo Solitario: Servizio allo Stato Brado


Benvenuti nell’era delle Relazioni! Con la erre maiuscola, perché a creare valore oggi è solo il servizio, ovvero il rapporto che riesci a instaurare con il tuo cliente; che non vuol sentirsi chiamare tale perché è certo di essere qualcosa di più.
Stamattina sono andato in una Banca.
Premesso che è da qualche settimana, da quando è scoppiato il caso Libia che mi frulla in testa l’idea di cambiare Banca, perché la mia, in qualche modo, è collegata a Gheddafi ed io per principio non ci voglio avere a che fare.
Quindi, è da qualche giorno che cerco su internet, mi guardo intorno. Nel frattempo, la scorsa settimana, mi hanno dato un assegno emesso da una delle banche che stavo valutando.
Stamattina ho deciso di andarlo a cambiare, non tanto per riscuoterlo (perché avrei potuto versarlo sul mio conto attuale), quanto per sondare il territorio, toccare con mano una nuova realtà bancaria. Vi preciso che non sono solito cambiare banche. Sono molto abitudinario. È da venti anni che sono cliente della stessa
 Bene, vi anticipo subito che quella che ho visitato stamattina non sarà mai la mia banca e vi spiego perché.
Capisco subito che il pascolo è nel loro dna perché sono veramente allo stato brado.
Arrivo all’ingresso. Faccio la fila per entrare nella capsula. Prima di me 3 persone. Quando è il mio turno, la capsula non si apre. Resto fermo ad aspettare e d’un tratto vedo, dalla vetrata che separa la zona di ingresso dall’interno, il classico impiegato di banca (giacca, cravatta e occhialino di ordinanza) che mi fa cenno con le mani, come a chiedermi cosa dovevo fare.
La vetrata impediva alle nostre voci di essere comprensibili, quindi entrambi cercavamo di decifrare il labiale.Rispondo che dovevo cambiare un assegno, mi chiede di mostrarglielo. La cosa mi imbarazza notevolmente perché sono all’ingresso e nel frattempo dietro di me arriva un’altra persona. Prendo il portafogli, lo apro e gli mostro l’assegno. Mi fa un cenno positivo indicandomi l’ingresso.
Entro e mi dirigo verso di lui. Nella sala ci sono solo 3 persone che non avevano l’aria di stare in fila, quindi mi fiondo e gli chiedo se mi può cambiare il titolo. E lui, quasi per giustificarsi, mi puntualizza che siccome non mi avevano mai visto, quel metodo è il loro modo di identificare le persone.
Ma siamo nell’Ottocento o nel 2011!? Non sarebbe stato più educato uscire fuori, chiamarmi in disparte e chiedermi tutto. Oppure, attraverso l’interfono della capsula non poteva chiedermi quel che voleva?
Dopo di che, mi invita a mettermi in fila perché a cambiarmi l’assegno sarebbe stato il collega allo sportello. Dalla stanza dalla quale entra, intuisco che può essere il direttore di filiale e mi chiedo come si fa a mettere nelle mani di una persona del genere la direzione di una filiale.
Mi metto in fila e aspetto il mio turno. Mi guardo attorno: arredamento del secolo scorso, ambiente molto freddo, clienti che sembrano proprio delle pecore…
La mia banca è sicuramente più bella, eppure non mi è mai piaciuta un granché!
Arriva il mio turno. Consegno l’assegno, il documento. La dobbiamo censire, sono le uniche parole pronunciate da chi sta allo sportello. Prego, faccia pure rispondo io.
Finita la procedura, mi consegna il solito modulo sulla privacy, puntualizzandomi che ne posso fare quello che volevo.
Mentre lui mette a posto tutto e prepara il contante da darmi, guardo i moduli con attenzione e vedo che non sono stati intestati. Il mio spirito ambientalista mi fa dire ad alta voce: dato che non sono intestati e dato che non mi servono perché conosco bene l’argomento, può conservarli per un altro cliente, così inquiniamo meno e facciamo meno spreco. Non arrivo a finire la frase e vedo quei moduli ritirati da sotto il mio naso con una certa veemenza, appallottolati  e poi cestinati. Il tutto accompagnato da un sorriso di soddisfazione, da parte del cassiere, che non gli avevo visto accennare nei dieci minuti precedenti.
Ringrazio ed esco. Mentre lascio alle spalle quell’ambiente squallido, antico e povero prende forma nei miei pensieri  la certezza che non avrei mai più messo piede in quel posto.
È questo il modo di fare impresa? È questo il modo di presentarsi? È questo il modo di creare relazioni, di motivare il personale? È così che si affronta il futuro? È così che si vince contro una concorrenza sempre più agguerrita?

giovedì 24 marzo 2011

Omaggio a Daisaku Ikeda



Ho deciso di dedicare la mia vita a tutto ciò che può creare valore per me e per gli altri.
Di essere così forte che nulla possa alterare la pace del mio spirito. 
Di trasmettere salute, gioia e speranza a chiunque io incontri. 
Di far sentire ai miei amici che c’è qualcosa di buono e di magnifico in loro stessi.
Di guardare il lato positivo in ogni cosa e di essere ottimista nella vita. 
Di sfidarmi ad agire e di mirare al meglio. 
Di essere felice nella vittoria degli altri così come nella mia.
Di non scordare gli errori del passato e di avanzare risolutamente per ottenere i migliori risultati nel futuro.
Di dedicare totalmente tanto tempo al mio miglioramento personale che non me ne resterà più per criticare gli altri. 
Di essere troppo forte per la paura, troppo nobile per la collera, troppo felice per l’inquietudine. 
Di approfondire la mia fede ogni giorno affinché possa trovare la strada da seguire nella vita.

mercoledì 23 marzo 2011

Non Sono Io che Me ne Occupo


Quando sento pronunciare questa frase da un cameriere, un commesso, un responsabile o un rappresentante di un’azienda, capisco subito che qualcosa non funziona.
Qualcosa di grande! Di importante non funziona!
L’azienda comunica anche e soprattutto con i propri dipendenti. E quando un dipendente risponde in questo modo vuol dire che non sta comunicando l’azienda ma solo la sua condizione di malessere all’interno dell’azienda stessa.
Ciò che un cliente vuole, come più volte ho scritto in questo blog, è l’esatto contrario: pretende Ben-Essere. Vuole stare bene. Paga per sentirsi migliore.
Una risposta come “Non sono io che me ne occupo” comunica solo disorganizzazione, totale assenza di  gruppo. Equivale a: non so chi sono i miei colleghi, di cosa sta parlando e non ne sono tenuto a saperlo.
Cioè, l’esatto contrario di ciò che dovrebbe essere alla base dell’espletamento delle attività di tutte le aziende, soprattutto quelle piccole (che sono più facili da gestire, in teoria).
Non può esserci uno scollamento fra i reparti. Non possono viaggiare a due velocità o su binari diversi. Lavorate su questo, cari imprenditori,  piuttosto che rosicchiarvi i pensieri su cose astronomiche per lottare la crisi.
Lavorate sul personale, sul loro benessere e su un’impostazione che consenta di far stare bene quanti si serviranno di ciò che proponete (la vostra offerta!).

Ieri sera sono stato in un noto locale, per festeggiare il compleanno di Gabriele, il mio figlioccio e voglio sintetizzare in questi pochi passaggi l’esperienza vissuta.
Arrivo in una sala alquanto spoglia: una tavolata ben apparecchiata, pulita e poi il nulla. Non un quadro, un decoro alle pareti, una pianta: solo quattro mura intorno ad un tavolo lungo apparecchiato per una trentina di persone.
Erano quasi tutti bambini di 9 anni, quindi alle 20 è già tardi. Luca (il padre di Gabriele) chiede ad uno dello staff se si può cominciare (premesso che gli accordi erano che entro le 21 e 30 doveva finire tutto per non avere disagi l’indomani a scuola).
La risposta è stata “Non sono io che me ne occupo”. Che cosa? Cavolo ma quanto ti costa informare il tuo collega della richiesta e incoraggiare il cliente con un “Provvedo subito!”.
Passa qualche minuto e arriva Sorriso Smagliante: una ragazza molto attenta, simpatica (ma che è un’extra, cioè una che lavora a chiamata), prende accordi e dopo qualche minuto cominciano a servire delle buone patate fritte (sembrano quelle della nonna: lunghe, mal tagliate, ben fritte, non unte… Buone!), portano da bere e non aprono neanche le bottiglie (cavolo sono bambini di 9 anni, come fanno ad aprire le bottiglie di vetro dell’acqua e della coca cola?).
Poi cominciano ad arrivare le pizze, tutto sommato dignitose.
I bambini cominciano a dimostrare la loro età e l’intolleranza verso la normalità…. Ma è normale! Hanno 9 anni! Come fanno a stare seduti per più di un’ora?
Le falle del servizio cominciano ad emergere. Vengono richiesti dei bicchieri, dei tovaglioli, delle posate, ma niente. Nessuno che si preoccupa di noi.
Sono le 21 e 15. Stiamo per finire. L’idea era quella di fermarsi dopo la festa del compleanno e cenare tranquillamente. Cosa che non è avvenuta e vi spiego perché.
Doveva arrivare la torta. D’un tratto arriva Sorriso Smagliante, stavolta meno sorridente e ci dice che c’è un problema: non trovano la torta. Ci possono portare delle pizze dolci in sostituzione.
Che cosa? Un compleanno di un bambino con tutti i suoi amichetti senza torta? Ci sembra surreale come cosa. La ragazza cerca giustificazioni di ogni tipo senza mai perdere il controllo.
In tutto questo sono uno spettatore passivo. Ascolto, vedo quello che succede e basta.
Sorriso Smagliante cerca di incoraggiare la compagnia dicendoci che sta per arrivare il pasticcere perché (non si sa perché) la torta è chiusa in pasticceria.
La verità è un’altra. Hanno dimenticato di passare la comanda alla pasticceria e torta non ce n’è. Arriva il pasticcere, prepara con la velocità della luce una torta approssimativa che non rispecchia affatto le caratteristiche richieste da Gabriele (che voleva una torta al cioccolato) e ce la portano.
Oddio ha la candelina rosa! Ma come fai a spiegare a un bambino di 9 anni davanti ai suoi amichetti che le candeline azzurre sono finite.
La tristezza di Gabriele era infinita. Gliela si leggeva negli occhi e nei mancati sorrisi ripresi dalla fotocamera che ad un tratto ha esaurito anche la memoria…
Giusto il tempo di assaggiare quella che doveva essere la torta di Gabriele e siamo andati tutti via senza cena e un po’ incazzati, per tutto quello che era successo. 
Erano le 22 e 45.

Il compleanno era stato prenotato da oltre una settimana. Domenica scorsa, per non rischiare, i genitori di Gabriele, erano tornati per definire anche i dettagli della torta. E questo è stato il risultato!
Se qualcuno è interessato a sapere il nome del noto locale, può scrivermi o chiamarmi (vedi Contatti).  

venerdì 18 marzo 2011

I 18 Precetti del Dalai Lama



Stamattina, mentre in macchina attraversavo la campagna iblea che da Scicli porta a Ragusa, ascoltavo Fabio in radio e ad un tratto comincia a leggere i precetti del Dalai Lama.
Ho avvertito subito un senso di riempimento emotivo (il contrario del vuoto che spesso siamo costretti a subire dalle notizie che si diffondono nell'etere), al che ho pensato che era giusto condividere con tutti voi queste "18 sostanze".

1) Tieni sempre conto del fatto che un grande amore e dei grandi risultati comportano un grande rischio.
2) Quando perdi, non perdere la lezione.
3) Segui sempre le 3 “R”: Rispetto per te stesso, Rispetto per gli altri, Responsabilità per le tue azioni.
4) Ricorda che non ottenere quel che si vuole può essere talvolta un meraviglioso colpo di fortuna.
5) Impara le regole, affinché tu possa infrangerle in modo appropriato.

6) Non permettere che una piccola disputa danneggi una grande amicizia.
7) Quando ti accorgi di aver commesso un errore, fai immediatamente qualcosa per correggerlo.
8) Trascorri un po’ di tempo da solo ogni giorno.

9) Apri le braccia al cambiamento, ma non lasciar andare i tuoi valori.
10) Ricorda che talvolta il silenzio è la migliore risposta.
11) Vivi una buona, onorevole vita, di modo che, quando ci ripenserai da vecchio, potrai godertela una seconda volta.

12) Un’atmosfera amorevole nella tua casa dev’essere il fondamento della tua vita.
13) Quando ti trovi in disaccordo con le persone a te care, affronta soltanto il problema attuale, senza tirare in ballo il passato.
14) Condividi la tua conoscenza. E’ un modo di raggiungere l’immortalità.
15) Sii gentile con la Terra.
16) Almeno una volta l’anno, vai in un posto dove non sei mai stato prima.
17) Ricorda che il miglior rapporto è quello in cui ci si ama di più di quanto si abbia bisogno l’uno dell’altro.
18) Giudica il tuo successo in relazione a ciò a cui hai dovuto rinunciare per ottenerlo.

mercoledì 16 marzo 2011

Valorizza gli Intervalli Temporali



In Giappone tutto dipende dal "Ma" (parola che definisce lo spazio-tempo): le arti marziali quanto l'architettura, la musica o la semplice arte del vivere. 
L'estetica, le proporzioni, l'aspetto dei giardini, tutto appartiene a reti di significati tra loro collegati, grazie al "Ma".
Persino gli uomini d'affari in Giappone obbediscono alle leggi del "Ma" nei reciproci rapporti: si tratta di "sentire" in che modo la controparte giudica le cose.
Sarà il "Ma", allora, a dettare la gerarchia delle scelte, le priorità negli investimenti, i tempi giusti e i ritmi appropriati nella gestione aziendale e a modellare l'esatta percezione delle persone e delle situazioni.


Per queste parole ringrazio Michel Random, uno studioso di cultura giapponese.

domenica 13 marzo 2011

Organizza con il Cuore. Prima di tutto.


Spesso gli imprenditori mi chiedono che cos’è esattamente il marketing. 
Ed io, ho notato che ogni volta non rispondo mai allo stesso modo.
Per cui, se oggi qualcuno me lo chiedesse, risponderei così:
Il marketing è organizzazione!
Nell’ambito di un’azienda disorganizzata, qualsiasi intervento di marketing sarà fallimentare.
Ho visto imprenditori investire migliaia di euro in campagne pubblicitarie bene fatte e ben curate e poco dopo constatare il fallimento dell’operazione perché la propria azienda (produzione, personale di vendita, magazzino, logistica) non era in sintonia con la campagna appena lanciata.
Il marketing ruota attorno all’organizzazione e la coinvolge tutta senza tralasciare nessuno. 
Quando si parla di organizzazione si parla di persone. Di gente che comunica, che hanno relazioni, che hanno il potere di trasformare in meglio tutti i portatori di interesse.
Il marketing è nato per punire gli imprenditori che han paura e per premiare i coraggiosi. A differenziare le due categorie è la cultura del cuore: chi guida la propria azienda con amore e per amore degli altri sarà un vincente, chi non lo fa è destinato a sparire definitivamente entro i prossimi 5 anni.

martedì 8 marzo 2011

Mi Fido di Te. Cosa sei Disposto a Perdere?


Possediamo già tutto. Non abbiamo bisogno di niente.
Pensaci: hai proprio bisogno di quell'acquisto che hai fatto ieri l'altro?
Pensaci bene. La tua risposta è no! Vuoi sapere perchè?
Tutto quello che vogliamo risiede nel nostro modo di vivere. E' l'elaborazione del pensiero condizionato dalla vita che giornalmente gli scorre intorno a indirizzare i nostri desideri che diventano poi bi-sogni.
Siamo affamati di emozioni, di storie che ci fanno sognare, di magie che ci possano cambiare.
Anche se solo per un attimo, per un giorno o una settimana.
Siamo vogliosi di relazioni e più è importante l'acquisto da fare e più è alta la pretesa di relazionarci con chi ce lo propone. Vogliamo sapere, conoscere e farci conoscere. Vogliamo entrare in sintonia con il venditore, con il politico, con i nostri amici perchè il nostro unico desiderio è farci capire. Ma per farlo abbiamo la necessità di sapere di chi ci possiamo fidare.