martedì 26 aprile 2011

Il Marketing è un Investimento


Passando per un importante via, ho visto un nuovo negozio. Cerco di essere sempre attento alle novità, ma questo di nuovo ha soltanto il luogo in cui si trova. E anche se prima di adesso non c’è mai stato niente, quel negozio sembra lì da anni, secoli… invece esiste solo da qualche settimana!

La strada in cui si trova è una via principale, nei pressi di un incrocio trafficato. Intorno, una folta presenza di  attività commerciali e di servizi. I presupposti ci sono per avere un certo successo, ma invece…

Partiamo dal nome. Sbagliato, almeno per 2 motivi: perché è fatto da due parole, una in italiano e una in inglese, e poi perché lascia pensare a un sacco di cose, tranne a ciò che vende. Sono entrato per dare ossigeno alla mia curiosità e non ho trovato niente di ciò che pensavo.
La vetrina. Banale, povera. Niente di più finto. Sembra roba cinese, di quei negozi specializzati nella vendita di cose a basso costo (tutto a 1 euro…).
L’arredo e i colori interni. Niente di più classico, dove per classico non intendo il genere ma la consuetudine di come operavano certi negozi qualche decennio fa: non un tema, una coerenza con qualcosa, un qualcosa di diverso da un già visto tempo fa.

Bastano pochi minuti per arrivare alla solita conclusione: ma perché buttano via i soldi in questo modo.

Cerco di trovare spiegazioni.

La responsabilità di questi obrobri non può essere solo dei proprietari (che con i loro soldi e la loro ignoranza possono fare quello che vogliono). Ci sarà qualcuno con cui si confrontano prima di avviare la loro attività.

E penso ai “tecnici professionisti” che possono ruotare attorno a loro: il commercialista, il geometra, l’arredatore che gli ha venduto gli scaffali, chi gli ha fatto l’insegna, i sacchetti, le buste.

Possibile che nessuno di questi gli ha mai parlato di comunicazione, di immagine, di vendite, di marketing.

Possibile che questi sfigati incontrano solo sfigati che vedono nella loro impresa solo un oggi da "mordere" e nient’altro.

Per fare un’impresa oggi, di qualunque tipo o dimensione, è necessario studiarla senza improvvisare. Mettete in conto tutto ma non dimenticate il marketing, perché il marketing vi farà riflettere meglio, darà più forma alla vostra idea e vi farà investire meglio i vostri soldi.

Scommetto una pizza che entro 24 mesi (se il locale è di proprietà), 12 mesi (se è in affitto) che il negozio chiuderà avendo polverizzato ciò che doveva essere un investimento.
Chi vuol perdere una pizza mi scriva per sapere nome e indirizzo del negozio in oggetto.

lunedì 18 aprile 2011

Il Telefono Come Arma Relazionale


Qualche anno fa sono stato coinvolto in un progetto il cui responsabile era un medico, un chirurgo che lavorava nell’ospedale della città in cui vivo.
Ho appreso molte cose da quell’esperienza, ma una in particolar modo ha lasciato il segno perché ancora oggi la ricordo e la cito quando si parla di marketing relazionale.
Facevamo riunioni, pianificavamo interventi e strategie, incontravamo gente e Lui, aveva il telefono sempre acceso. Sempre pronto a rispondere. Gli squillava continuamente e la maggior parte delle volte erano pazienti, comunissimi pazienti a cui lui aveva dato il suo numero personale. Lo chiamavano per un consiglio, una dritta, un conforto.
Mi colpì particolarmente che quando non poteva rispondere, aspettava di liberarsi e richiamava, anche se il numero non era presente nella sua rubrica.
Mi direte che è normale, che è educato farlo, ma quanti di voi lo farebbero alla fine di un’intensa  giornata di lavoro, sapendo che quel numero è di una persona di cui forse non ricordate neanche la faccia.
Lui lo faceva sempre.
Una volta gli chiesi perché, dove trovava la forza per farlo. E lui mi rispose che non faceva altro che quello che avrebbe voluto che facessero per lui, nel caso si fosse trovato dall’altra parte del telefono.
Semplice.
Rimasi colpito, ma allo stesso tempo un po’ estasiato da questa risposta, da questo suo comportamento. In fondo, si metteva nei panni dei pazienti cercando di far percepire loro la sua vicinanza in un momento di bisogno. In breve, lui c’era sempre!
Chi conosce il progetto a cui stavo lavorando potrebbe insinuare di tutto e di più, ma non mi interessa focalizzare l’attenzione su quello. Piuttosto su ciò che ho imparato: spesso basta semplicemente immedesimarsi, mettersi dalla parte dei clienti, cercare di vedere con i loro occhi, per fare qualcosa di grande!
Altre volte, basta semplicemente guardarsi dentro, ma per farlo è necessario appassionarsi al proprio lavoro, al prodotto o al servizio che si vuole comunicare.
Solo se siete i primi fan di ciò che state facendo riuscirete a convincere anche gli altri. O forse ci riuscirete con più facilità. 

mercoledì 13 aprile 2011

L'Illusione del Volantino


La politica del volantino è una politica di prezzo. Si selezionano dei prodotti, magari quelli con cui sia hanno degli accordi con i produttori (premi di fine anno o contributi specifici per la stampa e distribuzione del materiale pubblicitario), si stampa un volantino, si distribuisce e arriva la gente in negozio.
Non credo tanto a questa forma di promozione. Soprattutto quando è la sola arma utilizzata per fare comunicazione.
Posso tranquillamente scrivere che non è marketing.
Eppure ogni giorno mi confronto con imprenditori che non la pensano così. Per loro l’unica arma imbattibile che oggi ti permette di portare gente in negozio è il volantino, o giornalino. Hanno le prove: la gente arriva, compra, alimenta la cassa.
E poi? E’ finita! Rispondo io.
La sola politica del prezzo, non può funzionare, perché riduce troppo i margini, perché alimenta solo il mordi e fuggi, perché innesca quel meccanismo d’attesa che rallenta i consumi.
Quindi, con questo post, voglio suggerire a chi la pensa così che non è solo colpa della crisi o che, peggio ancora, il marketing è in crisi, ma che una buona dose di responsabilità ce l’hanno loro in prima persona.
Loro che, presi dalla quotidianità, dalla gestione delle emergenze (ormai chiamano così, i casini che hanno fatto in passato), non riescono a guardare più in là rispetto all'oggi, alla cassa e ai conti.
Il problema non è solo nello strumento che si è scelto di utilizzare (in questo caso il volantino), ma coinvolge un’area più grande che finora è stata sottovalutata, sotto dimensionata, sfiorata dalle politiche aziendali.
Pertanto prima di continuare a sperperare i vostri soldi in inutili campagne pubblicitarie fatte di volantini con l’offerta dal prezzo più basso, focalizzatevi sui vostri collaboratori (che con le loro famiglie sono i primi clienti), prestate attenzione ai vostri venditori e alle loro idee (che se vogliono, sono più efficienti di qualsiasi volantino) e poi non dimenticate i vostri attuali clienti (quanti fino a ieri hanno comprato da voi e adesso sono lì pronti a farsi coinvolgere dai vostri concorrenti).
Due paroline sopra tutto: Ascoltate e Coinvolgete. A 420 gradi. Cosa fate ogni giorno?
Questo è il mio marketing.

lunedì 11 aprile 2011

Cultura d'Impresa è



Riuscire a far interagire tra di loro cinque teste:

- quella della conoscenza;
- quella del prodotto;
- quella del marketing;
- quella della comunicazione;
- quella del controllo di gestione;

Come gli anelli delle olimpiadi che si intrecciano, queste cinque teste si intersecano tra di loro, al fine di sviluppare l'impresa.
E' vero, spesso non succede, una testa prevale sull'altra, annientandola.
Questo comporta una perdita di informazioni o di conoscenza più in generale, causando un accorciamento della vita dell'impresa che si basa proprio sui saperi, che le sue cinque teste sono in grado di produrre e riprodurre.

mercoledì 6 aprile 2011

Elogio del Post-it


Mi diverte osservare le pareti di certi studi. Dal numero di fogliettini appesi intuisco l'efficienza, la meticolosità, la precisione di chi vive quello spazio.
Quante volte vi sarà capitato di vedere post-it, appunti volanti attaccati sui monitor. Lo fanno in tanti e sembra quasi una sfida alla precarietà, capace di modificare, a volte radicalmente, il messaggio iniziale.
E' una comunicazione distorta, spezzettata. Di sicuro è una comunicazione!
E' vero ci sono mezzi più formali, come per esempio le bacheche o le agende elettroniche, ma spesso non hanno nessun altro fine che quello di "arredare".
Continuano ad essere i post-it il modo di comunicare più immediato ed efficace.
Questo vuol dire che se, nel progettare l'ufficio, o nel disegnare i nuovi spazi di lavoro, si tenesse in considerazione anche questo aspetto, probabilmente potremmo avere degli ambienti di lavoro più comunicativi, sia sul piano informativo che su quello creativo.

sabato 2 aprile 2011

Perchè Siete Infelici?



Sull’infelicità  il genetista Edoardo Boncinelli ha le idee chiarissime. Interrogato per il libro "Perchè siamo infelici" ha dato il suo decalogo (si può essere d’accordo o no, ma aiuta a capire qualcosa di più di noi stessi).
1)      L’infelicità non è un accidente, è un destino
2)      Tutti gli uomini sono infelici
3)      C’è chi se ne ricorda sempre, in ciascun istante della propria vita, e chi riesce a dimenticarsene, a intervalli più o meno lunghi
4)      Come reazione ad uno stato di infelicità e di prostrazione il cervello produce sostanze consolatorie, spesso proteine, che hanno lo scopo di riportare equilibro. Queste sostanze confluiscono nel circuito della dopamina, o circuito della soddisfazione del desiderio. Il circuito non lavora con la stessa efficacia in tutti gli uomini. Il perché è ancora senza risposta
5)      L’infelicità ci duole, ma ci spinge. Così come uno stato di moderata soddisfazione, seppure intermittente, è funzionale alla nostra capacità di affrontare le vicissitudini della vita, che non sono tutte invariabilmente positive, così la infelicità è un rinforzo di motivazione. Il suo ruolo fisiologico, quindi evolutivo, è innegabile
6)      Esistono due tipi di infelicità: quella che ha un motivo reale e quella che non ha alcun motivo. La prima ci accomuna agli animali, la seconda non ha alcun antefatto evolutivo: è “tutta nostra”
7)      Non esiste né esisterà mai un gene della infelicità (o della felicità). Piuttosto quindicimila, ventimila geni. In seicento milioni di anni di evoluzione dei vertebrati, la natura ha imparato questo: le funzioni più importanti per la vita è bene distribuirle su un imponente “parco geni” altrimenti chi nasce con il gene “sbagliato” finisce subito in fuorigioco
8)      La infelicità è frutto della ragione e della capacità di ricordare: deriva dal confronto fra obiettivi e raggiungimenti
9)      Il contraltare della infelicità è lo spirito vitale, l’attaccamento alla vita. Non c’è nessun motivo razionale per vivere: la ragione ci aiuta, ma non ci motiva a vivere. Noi viviamo perché siamo animali e il perseguimento della sopravvivenza è il primo e ultimo obiettivo reale, anche se generalmente inconsapevole, di ogni essere vivente
10) Che l’evoluzione biologica possa cambiare questo stato di cose è altamente improbabile: se ne riparlerà fra centinaia di migliaia di anni. Nel frattempo, più che la medicina possono le “droghe sociali”. Come diceva Ortega y Gasset: nessuno, se totalmente assorbito in un’occupazione, può sentirsi infelice