Benvenuti nell’era delle Relazioni! Con la erre maiuscola, perché a creare valore oggi è solo il servizio, ovvero il rapporto che riesci a instaurare con il tuo cliente; che non vuol sentirsi chiamare tale perché è certo di essere qualcosa di più.
Stamattina sono andato in una Banca.
Premesso che è da qualche settimana, da quando è scoppiato il caso Libia che mi frulla in testa l’idea di cambiare Banca, perché la mia, in qualche modo, è collegata a Gheddafi ed io per principio non ci voglio avere a che fare.
Quindi, è da qualche giorno che cerco su internet, mi guardo intorno. Nel frattempo, la scorsa settimana, mi hanno dato un assegno emesso da una delle banche che stavo valutando.
Stamattina ho deciso di andarlo a cambiare, non tanto per riscuoterlo (perché avrei potuto versarlo sul mio conto attuale), quanto per sondare il territorio, toccare con mano una nuova realtà bancaria. Vi preciso che non sono solito cambiare banche. Sono molto abitudinario. È da venti anni che sono cliente della stessa
Bene, vi anticipo subito che quella che ho visitato stamattina non sarà mai la mia banca e vi spiego perché.
Capisco subito che il pascolo è nel loro dna perché sono veramente allo stato brado.
Arrivo all’ingresso. Faccio la fila per entrare nella capsula. Prima di me 3 persone. Quando è il mio turno, la capsula non si apre. Resto fermo ad aspettare e d’un tratto vedo, dalla vetrata che separa la zona di ingresso dall’interno, il classico impiegato di banca (giacca, cravatta e occhialino di ordinanza) che mi fa cenno con le mani, come a chiedermi cosa dovevo fare.
La vetrata impediva alle nostre voci di essere comprensibili, quindi entrambi cercavamo di decifrare il labiale.Rispondo che dovevo cambiare un assegno, mi chiede di mostrarglielo. La cosa mi imbarazza notevolmente perché sono all’ingresso e nel frattempo dietro di me arriva un’altra persona. Prendo il portafogli, lo apro e gli mostro l’assegno. Mi fa un cenno positivo indicandomi l’ingresso.
Entro e mi dirigo verso di lui. Nella sala ci sono solo 3 persone che non avevano l’aria di stare in fila, quindi mi fiondo e gli chiedo se mi può cambiare il titolo. E lui, quasi per giustificarsi, mi puntualizza che siccome non mi avevano mai visto, quel metodo è il loro modo di identificare le persone.
Ma siamo nell’Ottocento o nel 2011!? Non sarebbe stato più educato uscire fuori, chiamarmi in disparte e chiedermi tutto. Oppure, attraverso l’interfono della capsula non poteva chiedermi quel che voleva?
Dopo di che, mi invita a mettermi in fila perché a cambiarmi l’assegno sarebbe stato il collega allo sportello. Dalla stanza dalla quale entra, intuisco che può essere il direttore di filiale e mi chiedo come si fa a mettere nelle mani di una persona del genere la direzione di una filiale.
Mi metto in fila e aspetto il mio turno. Mi guardo attorno: arredamento del secolo scorso, ambiente molto freddo, clienti che sembrano proprio delle pecore…
La mia banca è sicuramente più bella, eppure non mi è mai piaciuta un granché!
Arriva il mio turno. Consegno l’assegno, il documento. La dobbiamo censire, sono le uniche parole pronunciate da chi sta allo sportello. Prego, faccia pure rispondo io.
Finita la procedura, mi consegna il solito modulo sulla privacy, puntualizzandomi che ne posso fare quello che volevo.
Mentre lui mette a posto tutto e prepara il contante da darmi, guardo i moduli con attenzione e vedo che non sono stati intestati. Il mio spirito ambientalista mi fa dire ad alta voce: dato che non sono intestati e dato che non mi servono perché conosco bene l’argomento, può conservarli per un altro cliente, così inquiniamo meno e facciamo meno spreco. Non arrivo a finire la frase e vedo quei moduli ritirati da sotto il mio naso con una certa veemenza, appallottolati e poi cestinati. Il tutto accompagnato da un sorriso di soddisfazione, da parte del cassiere, che non gli avevo visto accennare nei dieci minuti precedenti.
Ringrazio ed esco. Mentre lascio alle spalle quell’ambiente squallido, antico e povero prende forma nei miei pensieri la certezza che non avrei mai più messo piede in quel posto.
È questo il modo di fare impresa? È questo il modo di presentarsi? È questo il modo di creare relazioni, di motivare il personale? È così che si affronta il futuro? È così che si vince contro una concorrenza sempre più agguerrita?
Stamattina sono andato in una Banca.
Premesso che è da qualche settimana, da quando è scoppiato il caso Libia che mi frulla in testa l’idea di cambiare Banca, perché la mia, in qualche modo, è collegata a Gheddafi ed io per principio non ci voglio avere a che fare.
Quindi, è da qualche giorno che cerco su internet, mi guardo intorno. Nel frattempo, la scorsa settimana, mi hanno dato un assegno emesso da una delle banche che stavo valutando.
Stamattina ho deciso di andarlo a cambiare, non tanto per riscuoterlo (perché avrei potuto versarlo sul mio conto attuale), quanto per sondare il territorio, toccare con mano una nuova realtà bancaria. Vi preciso che non sono solito cambiare banche. Sono molto abitudinario. È da venti anni che sono cliente della stessa
Bene, vi anticipo subito che quella che ho visitato stamattina non sarà mai la mia banca e vi spiego perché.
Capisco subito che il pascolo è nel loro dna perché sono veramente allo stato brado.
Arrivo all’ingresso. Faccio la fila per entrare nella capsula. Prima di me 3 persone. Quando è il mio turno, la capsula non si apre. Resto fermo ad aspettare e d’un tratto vedo, dalla vetrata che separa la zona di ingresso dall’interno, il classico impiegato di banca (giacca, cravatta e occhialino di ordinanza) che mi fa cenno con le mani, come a chiedermi cosa dovevo fare.
La vetrata impediva alle nostre voci di essere comprensibili, quindi entrambi cercavamo di decifrare il labiale.Rispondo che dovevo cambiare un assegno, mi chiede di mostrarglielo. La cosa mi imbarazza notevolmente perché sono all’ingresso e nel frattempo dietro di me arriva un’altra persona. Prendo il portafogli, lo apro e gli mostro l’assegno. Mi fa un cenno positivo indicandomi l’ingresso.
Entro e mi dirigo verso di lui. Nella sala ci sono solo 3 persone che non avevano l’aria di stare in fila, quindi mi fiondo e gli chiedo se mi può cambiare il titolo. E lui, quasi per giustificarsi, mi puntualizza che siccome non mi avevano mai visto, quel metodo è il loro modo di identificare le persone.
Ma siamo nell’Ottocento o nel 2011!? Non sarebbe stato più educato uscire fuori, chiamarmi in disparte e chiedermi tutto. Oppure, attraverso l’interfono della capsula non poteva chiedermi quel che voleva?
Dopo di che, mi invita a mettermi in fila perché a cambiarmi l’assegno sarebbe stato il collega allo sportello. Dalla stanza dalla quale entra, intuisco che può essere il direttore di filiale e mi chiedo come si fa a mettere nelle mani di una persona del genere la direzione di una filiale.
Mi metto in fila e aspetto il mio turno. Mi guardo attorno: arredamento del secolo scorso, ambiente molto freddo, clienti che sembrano proprio delle pecore…
La mia banca è sicuramente più bella, eppure non mi è mai piaciuta un granché!
Arriva il mio turno. Consegno l’assegno, il documento. La dobbiamo censire, sono le uniche parole pronunciate da chi sta allo sportello. Prego, faccia pure rispondo io.
Finita la procedura, mi consegna il solito modulo sulla privacy, puntualizzandomi che ne posso fare quello che volevo.
Mentre lui mette a posto tutto e prepara il contante da darmi, guardo i moduli con attenzione e vedo che non sono stati intestati. Il mio spirito ambientalista mi fa dire ad alta voce: dato che non sono intestati e dato che non mi servono perché conosco bene l’argomento, può conservarli per un altro cliente, così inquiniamo meno e facciamo meno spreco. Non arrivo a finire la frase e vedo quei moduli ritirati da sotto il mio naso con una certa veemenza, appallottolati e poi cestinati. Il tutto accompagnato da un sorriso di soddisfazione, da parte del cassiere, che non gli avevo visto accennare nei dieci minuti precedenti.
Ringrazio ed esco. Mentre lascio alle spalle quell’ambiente squallido, antico e povero prende forma nei miei pensieri la certezza che non avrei mai più messo piede in quel posto.
È questo il modo di fare impresa? È questo il modo di presentarsi? È questo il modo di creare relazioni, di motivare il personale? È così che si affronta il futuro? È così che si vince contro una concorrenza sempre più agguerrita?