mercoledì 24 settembre 2025

Il turismo si gioca nella mente, prima che nei luoghi


La scorsa estate si è avuta l’impressione che gli italiani siano rimasti a casa. Ma non è così: Albania, Grecia, Turchia, Spagna… tutte in crescita. Tutte hanno registrato una maggiore presenza di italiani.

Cosa significa? Che non stiamo perdendo viaggiatori per mancanza di voglia, ma forse per altri motivi che non sono la crisi economica, le infrastrutture o le difficoltà croniche, ma più semplicemente la mancanza di ospitalità.


Il marketing del turismo non è fatto solo di panorami e monumenti, ma di come una destinazione fa sentire chi la sceglie.


E nei mesi scorsi i social ci hanno restituito un’immagine imbarazzante:


2 € per tagliare un panino a metà;

2 € per scaldare un biberon;

26 € per due gin tonic;


Non sono episodi isolati: sono esperienze che si trasformano in percezioni negative che diventano virali. 


E quando il Brand Destinazione evoca queste sensazioni negative anziché esperienze stra-ordinarie, il danno è enorme.


Il turismo non è una battaglia fra destinazioni ma fra percezioni.


I viaggiatori non chiedono miracoli: chiedono esperienze sincere, qualità onesta, rispetto per il loro tempo e per il loro denaro. Vogliono sentirsi parte di un racconto, non numeri su un registro o “polli da spennare”.


Se percepiscono questo, racconteranno questo, scriveranno questo e contribuiranno a definire una destinazione.


Serve un cambio di prospettiva. Serve più professionalità, cura, attenzione al dettaglio. Serve la capacità di vedere con quel “terzo occhio” che apre lo sguardo a 420 gradi e ci permette di leggere i bisogni nascosti dietro ogni scelta di viaggio.


Il turismo è relazione, emozione, memoria. Non possiamo continuare a fare le stesse cose aspettandoci risultati diversi.

domenica 14 settembre 2025

Quando la moto si ferma, resta il viaggio


Col passare degli anni il tempo diventa una scia, come quella che lascia la moto quando piega tra le curve della vita. La vedi dissolversi nello specchietto, brillare per un attimo, poi sparire. Siamo comete e ognuno porta con sé la sua scia, più o meno lunga, più o meno intensa, a seconda di quanto ha avuto il coraggio di premere sull’acceleratore o di rallentare per ascoltare il viaggio, il paesaggio.

Le immagini del passato ci ricordano che i ruoli cambiano, come i chilometri dietro le spalle: da figlio diventi padre, da nipote zio, da padre nonno, da amico a viaggiatore solitario. E ogni svolta porta con sé il brivido di un inizio e il peso di un addio.


Un trasloco, con i suoi scatoloni, può diventare come una sosta improvvisa lungo la strada. Ti ritrovi tra foto e frammenti dai quali affiorano scintille, piccole luci che riaccendono la scia della tua cometa. Ti guardi allo specchio, accenni un sorriso, e quella ruga che spesso vedi solo tu è solo il segno del viaggio che continua.


Forse è questo il senso della mezza età: la voglia di trattenere il tempo, di scattare foto come si scattano curve, con la consapevolezza che ogni immagine è un istante salvato dal vento in faccia. Ricordi quel ragazzo, veloce come una pantera in corsa, che oggi rivedi correre nella scia che lasci dietro.


E poi capita che la moto si fermi, per un guasto o forse per scelta, chissà. Ti ritrovi passeggero sulla sella di un altro motociclista che ti offre un passaggio fino a casa. Non sei più al comando: sei spettatore. 


E da quella posizione posteriore il mondo ti appare diverso: sorprendente a tratti, noioso in altri, eppure quasi nuovo.


È il tempo che ti dice che non sempre devi guidare tu, che a volte basta lasciarsi portare per scoprire un’altra prospettiva.


Così la scia che ti accompagna non è solo malinconia: è la certezza che ogni curva, ogni sosta e ogni passaggio condiviso hanno senso. Perché ogni ruga è un dono, ogni ricordo una luce, ogni viaggio una promessa da mantenere.