domenica 18 maggio 2025

I giacimenti d’oro in Sicilia

Basta andare.

Lasciarsi andare.

Lasciarsi guidare.


Non serve altro. Nel navigatore, solo un punto d’arrivo qualunque, con un paio di accortezze preziose: no autostrade, no strade trafficate. Basta questo per iniziare a viaggiare davvero, per mettere la testa fuori dal guscio del conosciuto e ritrovarsi altrove, anche semplicemente dentro sé stessi.


Siamo in Sicilia, dove l’oro non luccica in superficie ma dorme, quieto, nell’entroterra. Non oro da estrarre, ma da scoprire. È l’oro che si manifesta in un raggio di sole che incendia i Calanchi, nella polvere che si alza dietro una curva solitaria, nel vento che ti accarezza mentre attraversi strade dimenticate. L’oro, qui, ha il sapore della verità.


Si parte per il cuore dell’isola, verso quella terra aspra che ricorda il deserto. I Calanchi: fratture di luce e creta, colline brulle color miele e terra bruciata, dove anche il silenzio ha un suono. Lì, nel nulla apparente, s’incontrano anche cartelli con scritto: “Adotta un ulivo”.

E tu ci pensi. Forse vuol dire scegliere un albero e prendersene cura. Portargli acqua quando puoi. Come si fa con chi non può muoversi, ma ha sete di vita. Forse è questo l’amore più puro: esserci.


Poi, come in un sogno, appare Centuripe. Dall’alto sembra un gigante disteso tra le colline. Una figura mitica, pietrificata dal tempo. Ti fermi un po' prima, sali sulla panchina gigante. Ti senti piccolo, bambino. Ma anche un po’ più grande. Perché da lassù vedi tutto. E tutto sembra nuovo.


Questa è un’altra Sicilia.

Non quella delle cartoline o dei cliché.

È la Sicilia dei silenzi, dei respiri larghi, delle domande che restano sospese nell’aria come polline.


Nel lago di Pozzillo, la quiete è una sinfonia. Una musica composta da mani invisibili, che sa quando far entrare il vento, far tacere il canto degli uccelli, far muovere una pecora tra gli alberi. I cani conoscono la strada meglio di noi. Si muovono sicuri verso il tramonto, come se sapessero che la giornata ha già detto tutto.


E tu ti chiedi: la casa dov’è?

È forse qui, in questo tempo lento?

In questo paesaggio che non chiede, ma offre?

In questo viaggio che ha solo bisogno di attenzione e di occhi aperti?


La casa è dove ti senti vero. Dove non devi dire niente per essere compreso.

È in quella piega del paesaggio che somiglia a una carezza.

Nel primo sorso d’acqua dopo chilometri di sete.

È nel braccio alzato di chi incroci in moto per un attimo e sembra conoscerti da sempre.

È in una strada che non avevi pianificato, ma che ti porta esattamente dove dovevi andare.


La casa sei tu, quando smetti di cercare e cominci ad ascoltare.


E in Sicilia, si ascolta bene.

Perché qui l’oro non si cerca: si riconosce.

E quando lo trovi, sai che non te ne andrai più davvero.


Il lago di Pozzillo sembra come un diamante incastonato al centro di una corona d’oro che cinge il capo della Trinacria. Una regina silenziosa, fiera, che si lascia scoprire solo da chi sa guardare con occhi nuovi.


Qui, tra le pieghe della sua corona, i giacimenti d’oro non sono soltanto zolle e colline: sono visioni.

Oniriche, sospese, impossibili da spiegare.

Non sembra più Sicilia, e forse non sembra neanche una terra.

È un altrove, un confine sottile tra sogno e polvere.


Il vento accarezza il futuro raccolto che ondeggia come un mare.

Sono pennelli sottili, in fila, che dipingono il cielo.

Lo tingono d’oro e d’azzurro.

È un’opera viva, che muta a ogni curva.


Percorrere il perimetro della corona è come dimenticare il tempo.

I minuti si sciolgono tra le mani, le ore si dilatano come l’orizzonte.

E allora andare non è più solo un verbo.

È una forma di respiro, uno stato della mente, una preghiera in movimento.


Tu e la moto diventate una sola creatura.

Simbiosi perfetta tra volontà e istinto.

Non stai più guidando.

Stai volando.


Questa è la Sicilia che non si legge sulle guide. È quella che si sente addosso come il sole di metà maggio,

quella che non si lascia conquistare, ma si concede, a volte, per qualche attimo eterno.


A Peppe, Gianni e Andrea, compagni del mio primo viaggio in moto. Compagni di curve, di risate, di silenzi pieni.

Compagni di asfalto, di chilometri masticati insieme e di panorami che restano impressi non solo negli occhi, ma nel cuore.


In ogni sosta, una battuta, una birra da condividere, una storia da raccontare. Senza di loro, questo viaggio non avrebbe avuto lo stesso sapore.


Siamo partiti senza pretese e abbiamo trovato l’oro.

Non solo nei paesaggi, nelle strade, nelle meraviglie nascoste.


Riflessione finale


Non ci resta che guardare meglio. Scavare sotto la superficie delle cose, oltre la polvere dell’abitudine. Trovare l’oro anche qui, dove sembra non brillare più nulla.

Dove le piazze sono vuote e le saracinesche si abbassano ogni giorno, dove la ruggine prende il posto del rumore e il silenzio è più forte del traffico.


Perché forse la bellezza non è sparita.

Si è solo nascosta.

Come quei giacimenti d’oro nell’entroterra, serve tempo, pazienza, volontà. Serve passare piano, alzare lo sguardo, non accontentarsi della prima impressione.


Forse la vera sfida è questa:

non andarsene per trovare qualcosa di meglio,

ma restare per renderlo migliore.


Riaccendere il fuoco sotto la cenere.

Credere che anche ciò che apparentemente è “frozen” possa tornare a muoversi.

Perché la vita non finisce nei luoghi che sembrano spenti.

Anzi, è proprio lì che può ricominciare.


E allora sì, partiamo ancora.

Ma torniamo anche.

Con occhi nuovi, con il cuore più pieno e con la voglia di cercare l’oro proprio qui, dove siamo nati.

Dove, forse, ci aspetta ancora qualcosa di grande.


Anche se non lo vediamo ancora.