Urbino. 1993–1998. Un tempo sospeso tra sogni a buon mercato, caffè con cremini improvvisati e quella fame di mondo che si ha solo quando si ha ancora tutto da perdere.
Non eravamo proprio tutti, ma quasi. Perché si sa, la vita si diverte a diffonderci: figli, città diverse, orari incompatibili. Ma alla fine, anche se non tutti, c’eravamo. E non era poco.
Ci siamo ritrovati in una cascina tra le colline marchigiane, quelle colline che sembrano uscite da un disegno fatto a matita, dove il tempo si stira piano, come un gatto nero al sole. Un posto che ci ha accolti come una vecchia coperta, ancora calda di ricordi.
Abbracci lunghi, risate che scavalcano gli anni, battute che non hanno perso né smalto né complicità. Il tempo, lì dentro, si è accartocciato su se stesso: trent’anni ridotti a un respiro, a uno sguardo, a un “ti ricordi?”.
Certo, qualche ruga in più, qualche ciuffo in meno, qualche acciacco nascosto sotto magliette larghe e sorrisi veri. Ma anche un’intensità nuova negli occhi, una tenerezza che a vent’anni non potevamo nemmeno immaginare.
Eravamo diversi, lo siamo ancora. Ma oggi quelle differenze ci fanno sorridere. Perché abbiamo capito — forse proprio ora — che è nella diversità che si crea il legame più forte. Come le tessere di un mosaico: ognuna unica, ma tutte insieme a comporre qualcosa che, a distanza di anni, continua ad avere un senso.
Tra un bicchiere di Ruchè, un tocco di formaggio e mille frammenti di memoria, il tempo è volato via. Come succede nei sogni belli, quelli che ti svegli e dici “era solo un sogno”, ma in realtà era molto di più.
Non so se ci sarà un’altra occasione. Ma so con certezza che questa ce la siamo portati a casa intera, senza lasciare neanche una briciola.
A Paola, Ema, Domenico e Marcella, Marco e Simona, Vincenzo, Valerio e Carla — e naturalmente ad Angela, senza la quale tutto questo non sarebbe accaduto — va il mio grazie più profondo.
Vi auguro giorni pieni. Di stupore e leggerezza. Di quel tipo di felicità che non ha bisogno di urlare per farsi sentire.
E se la vita vorrà, fra trent’anni o magari anche prima, che ci si ritrovi ancora… sarà un dono da scartare piano. In un’altra cascina, in un’altra parte d’Italia, o magari solo in un sogno comune. Ma insieme.
Perché le cose che contano davvero si contano sulle dita: una mattina che profuma di caffè, le persone che ami accanto, un corpo che ti porta dove vuoi, il coraggio di restare gentili.
Tutto il resto — l’età, le cicatrici, le cadute, i giudizi — è solo rumore di fondo.
Occhio, compagni!
Non è un epilogo, è un nuovo capitolo.
E c’è ancora tanto da scrivere,
tanta vita da brindare,
e almeno un altro ballo da fare sotto le stelle.