Per anni ci siamo illusi di poter conquistare la libertà, scegliendo e facendo, per non sentirci prigionieri di nessuno.
Mi sembra ovvio, e questi giorni ce lo stanno dimostrando, che se vuoi abitare il mondo che ti ha visto nascere, non puoi essere libero.
La libertà è partecipazione? Avevamo trovato una definizione in cui accomodarci e con Gaber ci eravamo illusi che quella era la via, ma oggi si è vanificata.
Tuttavia, questo non può essere un motivo per immobilizzarci e non reagire. Anzi.
Visto che la libertà non può essere universale, è compito di ognuno cominciare a prenderne i frammenti che fino a oggi abbiamo conosciuto, ricomporli e cominciare a ricostruire.
Prendiamo spunto da chi ci ha preceduto e facciamone un esempio da seguire.
Questa non è stata la prima pandemia e nemmeno la più importante che la storia ci ricorda.
Facciamo come Noè che dopo il diluvio ricostruì un futuro completamente nuovo.
Non possiamo salvarci da soli, ha detto il Papa, anche se la Bibbia ci ricorda che in paradiso si entra uno per volta.
Un albero, un uomo, una donna si giudica solo per i frutti che è capace di generare e non per il colore delle foglie o della pelle. Se generi frutti sei salvo, se sei sterile sarai condannato.
Se hai paura della vita sarai dannato.
D’altro canto, noi non siamo niente se non in relazione all’altro.
Questo isolamento forzato ci fa sentire la mancanza della relazione, di ciò che i francesi nella loro rivoluzione chiamavano fraternité.
Non può esserci relazione fra anime ma solo tra corpi.
La società prima del covid19 era suddivisa in tantissimi in cluster o nicchie. Oggi sembra che ci siamo tutti uniformati, allineati, accomunati. Tutti stiamo vivendo allo stesso modo in un’unica grande nicchia.
Probabilmente è da questo che dobbiamo ripartire.