Le sirene suonano, il porto si anima, scendono i passeggeri: la nave da crociera è arrivata. Per qualcuno è motivo di entusiasmo – “più turisti, più soldi, più visibilità” – ma per molti altri, forse non è così.
I crocieristi scendono, guardano l’orologio, camminano veloci. Hanno solo poche ore per “vedere tutto”. Entrano in qualche negozio, si fanno un selfie, forse prendono un gelato. Poi risalgono a bordo.
È il cosiddetto turismo “mordi e fuggi”: rapido, superficiale, spesso inconsapevole.
E quando se ne vanno, cosa resta? Poco. Di certo non un contributo reale all’economia del territorio. La maggior parte delle spese resta dentro la nave: pasti, souvenir, escursioni organizzate da tour operator stranieri. I negozi e le attività locali vedono raramente una vera ricaduta.
Immagina un piccolo centro storico che in poche ore si riempie di migliaia di persone. I residenti fanno fatica a uscire di casa, i mezzi pubblici si intasano, le strade diventano invivibili. Non è una situazione eccezionale: è quello che succede regolarmente nei porti più visitati.
Le infrastrutture locali non sono pensate per reggere un’ondata così massiccia e improvvisa. E tutto questo si ripete ogni volta che arriva una nave.
Le navi da crociera sono delle città galleggianti. E come tutte le città, consumano e inquinano. Solo che lo fanno in mare.
Bruciano carburanti altamente inquinanti, rilasciano sostanze nocive nell’aria e in acqua, e non è raro che si trovino rifiuti sulle spiagge nei giorni successivi all’attracco. Anche se le regole sono più rigide rispetto al passato, i rischi ambientali restano altissimi.
Sono stato a Malta, ho parlato con alcuni operatori de La Valletta e tutti mi hanno confermato questo.
A prima vista, le crociere sembrano portare movimento e lavoro. Ma a lungo andare trasformano l’economia locale. I negozi si adattano al turista frettoloso, cambiano la loro offerta, perdono autenticità.
Le botteghe tradizionali chiudono, sostituite da negozi di souvenir tutti uguali. Le piazze diventano palcoscenici, le strade vetrine.
Il paradosso è questo: i turisti vengono per scoprire l’autenticità di un luogo, ma la loro presenza massiva finisce per cancellarla.
Una città troppo piegata alle esigenze del turismo di massa perde la sua anima. Diventa un luogo finto, pensato per “piacere”, ma non più vissuto davvero. E spesso chi arriva non vede ciò che c’è davvero da scoprire: la storia, la cultura, le persone.
Non si tratta di rifiutare queste forme di turismo. Ma di chiederci che tipo di turismo vogliamo.
Vogliamo visitatori che arrivano, si fermano, ascoltano, parlano con chi vive lì, assaggiano il territorio con rispetto? O preferiamo i numeri alti, le folle, le toccate e fuga?
Forse non è una questione di dire sì o no alle crociere. Ma di iniziare finalmente a fare scelte consapevoli, che mettano al centro le persone, il territorio e il futuro.
Perché un luogo non vale per quanti lo attraversano in un’ora, ma per quante storie può raccontare a chi decide davvero di conoscerlo.