martedì 28 ottobre 2025

Il futuro del turismo in Sicilia passa dai cammini


Ragazzi, il futuro non è altrove. 

Non è nelle grandi città dove sembra che tutto accada, né nei social dove le vite scorrono alla velocità della luce.

Il futuro, quello vero, è qui. Nascosto nei sentieri che collegano un paese all’altro, nei profumi della terra baciata dal sole, nei paesaggi che cambiano a ogni curva.


Un pezzo di futuro può essere nei cammini.


In Sicilia non mancano le risorse. Ci sono colline che sembrano dipinte, antiche mulattiere che attraversano secoli di storia, borghi che conservano un’anima autentica.

Eppure, troppo spesso restano lì, invisibili anche a chi ci vive.

La verità è che non serve inventarsi nulla: serve solo guardarsi attorno con occhi diversi. 


Guardate l’esempio della Via dei Frati, ideata da Santo Mazzarisi, un percorso che attraversa il cuore dell’isola e unisce piccoli centri abitati a paesaggi di una bellezza disarmante.

Quel cammino ha dato voce a un territorio dimenticato, riattivando energie e relazioni, generando servizi, accoglienza e nuove idee. È la prova che un sentiero, se ben curato, può diventare una spina dorsale economica e sociale, capace di restituire senso e prospettiva a intere comunità.


Perché valorizzare i cammini?


Perché ci sono già, non bisogna inventarsi nulla, ma fare in modo di condividerli per far riscoprire la lentezza come risorsa, l’autenticità come forza, la natura come impresa.


Un cammino non è solo una strada: è un racconto che attraversa paesi, paesaggi e persone.

Significa riportare in vita antiche vie di transumanza, mulattiere e trazzere, trasformandole in esperienze che parlano di cultura, di identità e di futuro.


In un’epoca in cui il turismo cerca emozioni vere e non cartoline patinate, i cammini sono una risposta concreta: creano movimento sostenibile, valore diffuso e visibilità per territori dimenticati.


Ogni passo di un viandante è un’occasione per far girare l’economia locale, per far conoscere un prodotto, per raccontare una storia.

E più si cammina, più si genera un’economia “gentile”: quella che rispetta i luoghi, che non li consuma, ma li nutre.


Perché coinvolgere i residenti?


Un cammino vive solo se chi ci abita intorno lo sente proprio.

Senza i residenti, resta una mappa vuota.

Con i residenti, diventa una rete di umanità.


Coinvolgerli significa far sì che ogni casa, ogni piazza, ogni forno, ogni bottega diventi una tappa dell’esperienza.

Significa restituire orgoglio e appartenenza: far capire che la bellezza non è altrove, ma nelle proprie mani.


Un anziano che racconta una leggenda, una famiglia che prepara un pasto per i camminatori, un giovane che accompagna un gruppo tra i boschi, un artigiano che insegna un mestiere antico: sono tutti pezzi di un’unica narrazione che rende vivo il territorio.


E quando un paese diventa parte di una storia più grande, la gente non se ne va. Rimane.

Perché sente di contare, di essere parte di qualcosa che vale.


Perché per i residenti – giovani e meno giovani – l’ideazione dei cammini è un’opportunità?


Perché un cammino è, prima di tutto, un’idea che genera lavoro.

Dietro ogni percorso ci sono mappe da tracciare, segnaletiche da installare, strutture da sistemare, servizi da creare, esperienze da proporre.


Ogni attività legata ai cammini — accoglienza, ristorazione, artigianato, noleggi, guide, trasporti, comunicazione — può essere avviata con piccole risorse ma grande visione.


Per un giovane che sogna di restare, ma non sa come farlo, i cammini offrono un terreno fertile di possibilità.

Per un adulto che vuole reinventarsi, rappresentano un modo per riconvertire competenze e passioni.

E per tutti, sono un’occasione per lavorare insieme, creando reti e comunità di intenti.


Non è un turismo di massa: è un turismo che ascolta, che cammina piano, che lascia qualcosa e porta via il ricordo di un’umanità che altrove non trova più.


Ed è proprio questo il valore più grande: far rinascere la Sicilia da dentro, non con grandi opere o progetti calati dall’alto, ma con piccoli passi condivisi, uno dopo l’altro.


Un cammino unisce territori, storie, residenti e viaggiatori.


È un ponte tra chi parte e chi resta. È una promessa di rinascita.


Perché quando si rimette in cammino un territorio, si rimette in cammino anche la speranza.


Allora, ragazzi: non aspettate che qualcuno arrivi a salvarvi.

Guardatevi intorno, guardatevi dentro. Le vostre strade, i vostri sentieri, la vostra storia: tutto è già qui.


Costruire un cammino, proprio come qualsiasi impresa, richiede tempo, costanza e visione.


C’è un detto che conosciamo tutti: Roma non è stata costruita in un giorno.


E vale anche per i cammini, per i sogni, per i paesi che vogliono rinascere.

Serve pazienza per tracciare il primo sentiero, per vedere arrivare i primi camminatori, per far crescere le prime attività intorno.

Ma ogni passo, ogni gesto, ogni idea messa in pratica è una pietra che si aggiunge al grande mosaico di un futuro possibile.


Chi oggi comincia, anche solo con poco, sta già costruendo qualcosa di grande.

E un giorno, voltandosi indietro, capirà che la sua “Roma” — quel piccolo mondo che ha deciso di far rinascere — era già lì, sotto i propri piedi.


Bastava solo iniziare a camminare.



Grazie a Santo Mazzarisi e a Michelangelo di San Cataldo per l'ispirazione di questo post.

mercoledì 22 ottobre 2025

Dalle stelle alle stalle: il viaggio che, come ogni viaggio, può avere anche un ritorno


Viviamo in un tempo in cui il successo sembra l’unica misura del valore di una persona. Le carriere si costruiscono come cattedrali di vetro, lucenti e fragili allo stesso tempo. Si inseguono ruoli, riconoscimenti, titoli. Ci si convince che la vetta sia il punto d’arrivo, il traguardo che giustifica ogni sforzo. Eppure, quando il vento cambia direzione, basta poco perché quell’altura si trasformi in precipizio.


C’è un momento, per alcuni, in cui il potere, la visibilità e il privilegio svaniscono. Quando il clamore del pubblico si spegne e resta solo il rumore del proprio respiro, la vita si mostra nella sua forma più semplice — e più vera. È lì che si scopre cosa resta davvero di noi.


Molti temono la caduta come una condanna, ma può essere anche una rinascita. Ritrovare la propria misura, riconnettersi con il senso delle piccole cose, scoprire il valore di un lavoro umile, di un gesto quotidiano, di uno stipendio che basta appena per vivere, ma che permette di farlo con dignità. In un’epoca che confonde spesso l’apparenza con la sostanza, tornare alla realtà può essere il più grande atto di libertà.


È un percorso che richiede coraggio, perché implica spogliarsi dell’immagine costruita nel tempo e accettare la propria fragilità. Ma solo chi riesce a farlo può davvero dire di essere tornato a vivere.


C’è chi l’ha imparato a caro prezzo. Come Irene Pivetti, che un tempo sedeva sullo scranno più alto di Montecitorio, come presidente della Camera dei deputati, simbolo di potere e di ascesa fulminea. La più giovane presidente della Camera della storia repubblicana. Oggi lavora in una cooperativa che gestisce un ristorante sociale, guadagnando mille euro al mese.


Ha raccontato di non avere più i soldi per mangiare, di aver venduto tutto, anche i ricordi. Ma nelle sue parole non c’è vergogna. C’è consapevolezza. «Devo vivere oggi», ha detto.


E in quella frase c’è tutto: il coraggio di lasciarsi alle spalle il passato, di accettare la propria fragilità e di ritrovare, nel poco, il senso del tanto.


Forse la vera vittoria non è arrivare in alto.

È riuscire a restare in piedi quando tutto il resto cade. 


P.S.: Ho scelto questo titolo perché ogni caduta, in fondo, è un viaggio.

Dalle stelle alle stalle non è solo un modo di dire, ma un percorso umano che attraversa la gloria e la fragilità, la perdita e la riscoperta. Come ogni viaggio, anche questo può avere un ritorno — non verso ciò che si è stati, ma verso ciò che si è davvero.

Il ritorno non è quasi mai un tornare indietro. È un tornare a sé stessi.

E in quel ritorno, spesso silenzioso, c’è tutta la dignità del vivere.


mercoledì 24 settembre 2025

Il turismo si gioca nella mente, prima che nei luoghi


La scorsa estate si è avuta l’impressione che gli italiani siano rimasti a casa. Ma non è così: Albania, Grecia, Turchia, Spagna… tutte in crescita. Tutte hanno registrato una maggiore presenza di italiani.

Cosa significa? Che non stiamo perdendo viaggiatori per mancanza di voglia, ma forse per altri motivi che non sono la crisi economica, le infrastrutture o le difficoltà croniche, ma più semplicemente la mancanza di ospitalità.


Il marketing del turismo non è fatto solo di panorami e monumenti, ma di come una destinazione fa sentire chi la sceglie.


E nei mesi scorsi i social ci hanno restituito un’immagine imbarazzante:


2 € per tagliare un panino a metà;

2 € per scaldare un biberon;

26 € per due gin tonic;


Non sono episodi isolati: sono esperienze che si trasformano in percezioni negative che diventano virali. 


E quando il Brand Destinazione evoca queste sensazioni negative anziché esperienze stra-ordinarie, il danno è enorme.


Il turismo non è una battaglia fra destinazioni ma fra percezioni.


I viaggiatori non chiedono miracoli: chiedono esperienze sincere, qualità onesta, rispetto per il loro tempo e per il loro denaro. Vogliono sentirsi parte di un racconto, non numeri su un registro o “polli da spennare”.


Se percepiscono questo, racconteranno questo, scriveranno questo e contribuiranno a definire una destinazione.


Serve un cambio di prospettiva. Serve più professionalità, cura, attenzione al dettaglio. Serve la capacità di vedere con quel “terzo occhio” che apre lo sguardo a 420 gradi e ci permette di leggere i bisogni nascosti dietro ogni scelta di viaggio.


Il turismo è relazione, emozione, memoria. Non possiamo continuare a fare le stesse cose aspettandoci risultati diversi.

domenica 14 settembre 2025

Quando la moto si ferma, resta il viaggio


Col passare degli anni il tempo diventa una scia, come quella che lascia la moto quando piega tra le curve della vita. La vedi dissolversi nello specchietto, brillare per un attimo, poi sparire. Siamo comete e ognuno porta con sé la sua scia, più o meno lunga, più o meno intensa, a seconda di quanto ha avuto il coraggio di premere sull’acceleratore o di rallentare per ascoltare il viaggio, il paesaggio.

Le immagini del passato ci ricordano che i ruoli cambiano, come i chilometri dietro le spalle: da figlio diventi padre, da nipote zio, da padre nonno, da amico a viaggiatore solitario. E ogni svolta porta con sé il brivido di un inizio e il peso di un addio.


Un trasloco, con i suoi scatoloni, può diventare come una sosta improvvisa lungo la strada. Ti ritrovi tra foto e frammenti dai quali affiorano scintille, piccole luci che riaccendono la scia della tua cometa. Ti guardi allo specchio, accenni un sorriso, e quella ruga che spesso vedi solo tu è solo il segno del viaggio che continua.


Forse è questo il senso della mezza età: la voglia di trattenere il tempo, di scattare foto come si scattano curve, con la consapevolezza che ogni immagine è un istante salvato dal vento in faccia. Ricordi quel ragazzo, veloce come una pantera in corsa, che oggi rivedi correre nella scia che lasci dietro.


E poi capita che la moto si fermi, per un guasto o forse per scelta, chissà. Ti ritrovi passeggero sulla sella di un altro motociclista che ti offre un passaggio fino a casa. Non sei più al comando: sei spettatore. 


E da quella posizione posteriore il mondo ti appare diverso: sorprendente a tratti, noioso in altri, eppure quasi nuovo.


È il tempo che ti dice che non sempre devi guidare tu, che a volte basta lasciarsi portare per scoprire un’altra prospettiva.


Così la scia che ti accompagna non è solo malinconia: è la certezza che ogni curva, ogni sosta e ogni passaggio condiviso hanno senso. Perché ogni ruga è un dono, ogni ricordo una luce, ogni viaggio una promessa da mantenere.

domenica 17 agosto 2025

Turismo: il sorriso che manca e la ricerca di una nuova Accoglienza


C’è un fenomeno che, chi vive e lavora a contatto con i viaggiatori, ha imparato a riconoscere: i sorrisi si sono fatti più rari. Non è un’impressione vaga, ma una sensazione che cresce giorno dopo giorno, tra la reception e il banco bar, tra una visita guidata e una passeggiata in centro. Gli occhi non scintillano più come prima, la leggerezza sembra un lusso raro.

Molti turisti arrivano con la valigia piena di abiti leggeri, ma nello zaino portano ben altro: preoccupazioni, fatica, il rumore di vite sempre di corsa. E così, anche quando si trovano davanti a un mare cristallino o a un tramonto da cartolina, fanno fatica a lasciarsi andare. È come se il viaggio non fosse più sufficiente a spegnere le tensioni che si accumulano durante l’anno.


Chi accoglie, lo percepisce subito. Una volta bastava poco: una battuta, un gesto di attenzione, un piatto portato al tavolo con calore. Oggi spesso quelle piccole scintille sembrano scivolare addosso a chi è troppo stanco per accoglierle.


Anche chi accoglie è stanco!


Sarebbe ingiusto guardare solo a chi viaggia. Anche dalla nostra parte c’è fatica. Camerieri che corrono tra i tavoli senza avere il tempo di fermarsi a scambiare due parole. Guide che devono concentrare in un’ora quello che meriterebbe un giorno intero. Receptionist che sorridono perché “devono”, mentre pensano già alla prossima mail da gestire.


Il turismo, oggi, è diventato una corsa ad ostacoli. Meno risorse, più richieste, e nel mezzo persone che fanno del loro meglio per mantenere viva l’illusione della vacanza perfetta. Ma se il sorriso non è autentico, non basta a costruire un legame.


Forse il punto è proprio questo: confondiamo il riposo con la rigenerazione. Fermarsi qualche giorno non basta, se non si riesce a svuotare la mente. Serve altro: momenti che nutrono, esperienze che non siano consumo ma incontro.


Un dialogo con chi vive il territorio, una camminata lenta tra le vie di un borgo, il tempo per ascoltare il silenzio di un paesaggio. È in queste piccole cose che possiamo ritrovare l’energia che manca, quella che ci permette di tornare a sorridere senza sforzo.


Il turismo non è fatto solo di numeri, di camere da vendere o di mete “instagrammabili”. È fatto di relazioni. Di ospitalità autentica e di viaggiatori disposti a lasciarsi sorprendere, a rallentare, ad ascoltare.


Perché la vera ricchezza di un viaggio non sta nelle foto scattate, ma nelle persone incontrate. Non nell’elenco delle attrazioni spuntate, ma nella qualità dei momenti vissuti.


Non serve molto per invertire questa rotta. Piccoli passi possono riaccendere quella scintilla che sembra essersi spenta.


Per chi viaggia:

Rallentare il ritmo: scegliere meno tappe, ma viverle con più intensità.

Cercare l’autenticità: privilegiare esperienze locali, incontri con artigiani, mercati, piccole trattorie.

Praticare la gratitudine: un grazie sincero, uno scambio di parole, possono fare la differenza.

Disconnettersi: ridurre il tempo online per lasciare spazio al tempo vissuto.


Per chi accoglie:

Curare i dettagli: un gesto di attenzione, anche minimo, resta nella memoria più di una struttura perfetta.

Creare spazi di ascolto: fermarsi a chiedere “come va il viaggio?” e ascoltare davvero la risposta.

Proteggere la propria energia: alternare i momenti di lavoro intenso con pratiche di benessere personale, per non arrivare svuotati.

Proporre esperienze rigenerative: laboratori, passeggiate lente, momenti di socialità vera, non solo servizi standard.


La luce non è scomparsa, è soltanto nascosta sotto la polvere della fretta e della stanchezza. Sta a noi riscoprirla, rimetterla al centro del viaggio, dell’accoglienza, della vita stessa.