La parola chiave che sta dietro il concetto di benchmarking è confronto.
Per definirlo in tre parole, fare benchmarking vuol dire, monitorare il proprio andamento rispetto ai concorrenti.
L’andamento può essere relativo alla vendita di prodotti o servizi, ma anche, in termini organizzativi, alle procedure aziendali.
Il fine è l’ottimizzazione delle performances, sia produttive che organizzative, anche se tra le due aree c’è sempre un punto di convivenza.
Il benchmarking è una leva del marketing, quello più puro, scientifico e apparentemente meno tangibile. Si potrebbe osare dicendo che è una sorta di “dietro le quinte”, ovvero ciò che non si vede, ciò di cui nessuno parla, ma che senza la sua funzione lo spettacolo non potrebbe andare in scena.
L’oggettivo confronto e la misurazione servono a produrre punti di riferimento chiari che devono essere necessariamente condivisi al fine di “produrre” cultura aziendale.
Il benchmarking si basa almeno su 4 indicatori ben precisi e facilmente misurabili, applicabili a tutte le aziende con cui si vuole fare il confronto:
- quanto viene prodotto;
- in quanto tempo;
- come viene prodotto qualitativamente (tenendo in considerazione la soddisfazione del cliente);
- quanto costa;
Il benchmarking viene quasi sempre condotto da consulenti esterni o società specializzate in ricerche che per redarre i loro report si avvalgono di focus e interviste.
Periodicamente, a seconda dell’obiettivo e della tipologia dell’azienda, può essere svolto mensilmente, bimestralmente o anche estemporaneamente (legato ad un progetto specifico). Dipende sempre dagli obiettivi che si intendono raggiungere, per questo il fattore temporale non può essere sempre uguale.
Uguale, invece, è il fine del benchmarking: serve a costruire strategie di miglioramento.